mercoledì 24 marzo 2010

Il Profeta (2009)


Malik El Djebena ha 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigione. In carcere avrà la protezione offertagli da un mafioso corso, dovrà uccidere per farsi accettare, dovrà ampliare le sue conoscenze, sfruttare le sue abilità per sopravvivere. Passo dopo passo riuscirà a costruirsi un piccolo impero.
Uno dei grandi limiti del genere umano è l'incapacità di saper ascoltare. Malik invece, sa ascoltare benissimo e crea da questo semplice gesto tutta la sua fortuna e una nuova vita. Ascolta diversi linguaggi, dialetti, accenti, le inclinazioni dei toni delle voci, e sopratutto ascolta le opinioni, le sensazioni, sente il peso delle parole. Ed è così che lui, senza etnia, religione, creerà un mondo tutto suo, un ibrido tra arabo, francesce, corso, creerà un gruppo personale particolare al quale appartenere. Malik è il profeta non solo per la sua predisposizione ad ascoltare il prossimo ma perchè conosce il carattere della giusta misura, della mediazione, della diplomazia in un luogo, come il carcere, dove spesso l'istinto prevale sulla ragione. Negli altri e in se stesso non vede mai l'assoluto e non è mai intransigente, ma con spontanea e straordinaria freddezza calcolatrice adatta le ipotesi alle soluzioni, conosce in anticipo le conseguenze delle azioni, e per ogni situazione ne analizza tutte le possibili conseguenze prima di farsi trasportare dalla fretta di agire, proprio grazie a quella calma del suo saper ascoltare.
Audriard fa sciovalare la narrazione in modo così fluido da non mostrare esplicitamente la personalità di Malik, che si deve evolvere ed esplicitare attraverso le sue azioni, così da lasciarlo nel mistero: senza passato, senza cultura, senza storia, Malik è l'uomo nuovo, che impara, elabora, fagocita tutto e di questo tutto ne fa una cosa sola che col tempo diventerà sua.
Oltre alla più chiassosa critica al sistema carcerario francese (e non solo), Audriard porta avanti un'altra analisi, ben più sottile e silenziosa e in questo intento è tanto lucido quanto il suo Malik lo è nel perseguimento dei suoi obiettivi. Questa analisi si riferisce all'uomo globalizzato e la sua capacità di elaborare il rapporto causa-effetto con gli elementi che raccoglie e che studia con il suo intelletto. Malik è un dissimulatore, è il titpico uomo sociale-politico che va oltre la morale, che non ascolta la coscienza, ma che consce il significato di ogni sua azione e quindi anche capace di compiere atti purissimi come l'amicizia e la capacità di ricordare.
Malik è senza passato, è senza storia, quindi è libero? L'uomo senza il peso del suo passato, pur convivendo con il suo ricordo, può essere davvero libero? Audriard sembra dirci di si.

2 commenti:

  1. è vero, questa rigenerazione e maturità verso una concenzione culturale più ampia universale, appunto multiculturale è abbastanza evidente. E' un film molto profondo, è il merito è proprio questo, di oltrepassare ogni classificazione stereotipata di genere.

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