lunedì 29 novembre 2010

Addio, Maestro


MARIO MONICELLI, 1915-2010

I Ragazzi Stanno Bene (2010)

I ragazzi stanno bene è un film di Lisa Cholodenko del 2010, con Mia Wasikowska, Julianne Moore, Mark Ruffalo, Josh Hutcherson, Annette Bening, Yaya DaCosta, Rebecca Lawrence, Kunal Sharma, Amy Grabow, Eddie Hassell. Prodotto in USA. Durata: 104 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red.

Due fratelli adolescenti che vivono con le loro madri gay vanno in cerca del loro padre biologico e lo introducono nel nucleo familiare. Il suo arrivo sconvolgerà gli equilibri cambiando per sempre il corso degli eventi

La forza dello stare insieme vince sulle difficoltà di ogni coppia, ma se questa coppia è composta da un duo lesbico emancipato e un po' hippie l'esito sarà sicuramente dei più curiosi e anche divertenti. È l'idea alla base di "The Kid Are All Right" che sicuramente non sarebbe stato lo stesso senza le due prove di forza delle sempreverdi Julianne Moore e Annette Bening. Si, perché alla fine il film di Lisa Cholodenko è un esercizio di regia fondato soprattutto sull'uso degli attori che cercano di evitare la via della banalità.Il tema basterebbe comunque a tenere in piedi anche la più banale delle storie e al di là di tutto il contorno di tradimenti, giardini da curare, padri ritrovati, "The Kid Are All Right" è un degno esempio di cinema indipendente americano con tutti i pro e purtroppo anche con tutti i contro: non serve però farne un elenco né perdere tempo ad analizzare ciò che non va nel film, meglio sarebbe concentrarsi sul messaggio che il racconto riesce a lanciare, anche se solo a metà e con qualche forzatura. Il succo è che le coppie, di ogni forma, colore, tipo ecc, affrontano nel quotidiano una serie infinita di problemi e preoccupazioni: non è perché Nic e Jules sono lesbiche che avranno il triplo dei problemi di una coppia etero, anzi forse è il contrario, la loro (qualche volta pessima) abitudine di mettere sempre tutto in chiaro, di esporre in modo netto i sentimenti, è certamente un modo intelligentissimo per evitare gli angoli bui e oscuri di una situazione non semplice come crescere due figli in un ambito familiare non comune. È un codice che ogni famiglia si crea, il problema non è la quantità dei problemi da affrontare ma come li si affrontano. E che cosa succede se un elemento estraneo (il padre-provetta un po' playboy un po' tonto dei figli della coppia protagonista) si insinua incrinando quell'equilibrio da sempre ritenuto solido? Gli effetti sono disastrosi, lo sarebbero per ogni coppia, anche la più forte e resistente di questo mondo. E allora come reagire? Che cosa fare? Come comportarsi? Il punto è non perdere la strada maestra della solidità della fiducia reciproca, che è anche fatta di sbagli riparati, menzogne poi chiarite, tradimenti perdonati. Insomma, ciò che "The Kid Are All Right" racconta è un modello di famiglia universalizzabile, che ha le stesse caratteristiche di una famiglia comune: e alla fin fine che cosa è davvero comune e cosa non lo è? Le "stranezze" o le inusualità esistono in qualsiasi famiglia e la capacità di crearne una nasce dal bisogno di sentirsi collegati, un bisogno che non ha sesso, età, religione, orientamento sessuale. La famiglia è questo: bisogno di stare insieme e condividere. I problemi diventanto rilevanti una volta trovato il modo di superarli. Nic e Jules ci riescono? Forse si ma non per la straordinarietà della loro relazione ma perché sono disposte a perdonarsi, andare avanti come ogni famiglia degna di questo nome dovrebbe fare.





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sabato 20 novembre 2010

The Social Network (2010)

Un film di David Fincher. Con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield, Justin Timberlake, Armie Hammer, Max Minghella.

Mark Zuckerberg, il ragazzo che sarebbe diventato il più giovane miliardario della storia creando il social network più usato al mondo, nel 2004 era uno studente di Harvard brillante ma con poche doti sociali.


In un mondo in cui si ha poco tempo, quello che si dedica all'ascolto del prossimo è ormai prossimo allo zero. "The Social Network", storia romanzata della nascita del sito più popolato del web, racconta prima di tutto una vicenda umana e di come nell'ultima tappa della nostra evoluzione l'uomo abbia trovato un modo per esprimere se stesso attraverso ciò che non si vede. Milioni di persone trovano riparo dalla realtà rifugiandosi in qualche profilo facebook o twitter o myspace e in qualche modo riescono ad essere fedeli a loro stessi mai quanto lo sarebbero nella vita di tutti i giorni.Mark Zuckerberg, geniale studente di Harvard più che un superbo programmatore informatico, è stato ed è tuttore un eccellente osservatore delle dinamiche sociali dei ragazzi della sua età che non troppo difficilmente possono essere applicate al mondo intero.La voglia di comunicare è in effetti un bisogno essenziale dell'essere umano e la voglia di cercarsi e trovarsi è ciò che mantiene in piedi il sistema di relazioni umane.
Facebook, come gli altri servizi di network, è effettivamente questo: un insieme di esigenze che codificate portano a programmi multimediali che facilitano le relazioni e l'espressione di se stessi.Fin dalle prime fasi di lavorazione di "The Social Network", non molti pronosticavano un prodotto di tale importanza, ma era di facile previsione come la materia trattata avrebbe giocato un ruolo fondamentale nella riuscita del film. David Fincher si allontana molto dal modello registico a cui appartiene e sembra anche lui intrappolato in questa "rete" di relazioni che si instaurano tra i protagonisti del film. In effetti "The Social Network" ha il pregio di non raccontare facebook ma di interpretarlo come fenomeno sociale e culturale, svelandone i più segreti e affascinanti elementi e mostrandone anche una faccia ben più temibile: una sorta di "contagio" del bisogno ineffrenabile di contatto mentale umano sincero, anche se distante fisicamente.
Facebook.inc è una società che fattura 1 bilione di dollari l'anno. È il sesto potere dopo il quarto della stampa e il quinto della televisione, è il potere oscuro di manipolare menti e abitudini e di modifcare il corso delle vite di chi ne viene toccato. Al di là di qualsiasi cosa si possa pensarne, Facebook è una rivoluzione di importanza madornale, quasi indescrivibile nei dettagli perché è una rivoluzione anche in atto che non si concluderà molto presto, pochi di noi ne potranno vedere la fine, se mai ci sarà. Ma ciò che rende il film di Fincher un'opera intrigante è l'attenzione riservata al catturamento delle dinamiche sociali dei personaggi che, pensati in una specie di fermo immagine anche se fulmineo, sono facilmente avvicinabili a tutti coloro che sono stati attaccati dalla mania di facebook ma ancora più profondamente dalla modernità.
"The Social Network" è una esplorazione, un viaggio dai caratteri incerti, dai contorni poco chiari ma con la consapevolezza che al di là del desktop c'è qualcuno che ci sta ad ascoltare, che cerca di capirti, in questo mondo dove tutti, andando di fretta, trovano il tempo solo davanti allo schermo di un computer. Molti potrebbero pensarlo come un fenomeno degenerativo ma se 500 milioni di persone hanno aderito a questa filosofia è difficile considerarlo solo un bluff di un geniale ragazzino annoiato dalla vita del college.
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sabato 6 novembre 2010

Rabbit Hole (2010)

Un film di John Cameron Mitchell. Con Nicole Kidman, Aaron Eckhart, Sandra Oh, Dianne Wiest, Jon Tenney, Tammy Blanchard, Giancarlo Esposito, durata 90 min. - USA 2010.

"Rabbit Hole" traccia il confine sottile tra disperazione e speranza, è l'incontro tra la morte e la vita, la comunione tra gioia e tristezza. Non è semplice mettere insieme emozioni e stati d'animo così diversi, ma la regia delicata e fine di John Cameron Mitchell arriva al traguardo e raggiunge tutti gli intenti promessi. Senza intrappolare i sentimenti in compartimenti stagni, Cameron-Mitchell tra le sue mani modella una storia tanto semplice quanto potente di una famiglia distrutta che cerca di ricostruirsi partendo dalle cose semplici quotidiane. Una quotidianeità che per Howie e Becca Corbett costa fatica e dolore, ma che con la volontà di di condividere il loro dolore seppur con tempi e modi differenti troveranno la forza di affrontare."Rabbit Hole" forse inizia al momento della sua conclusione, quel finale aperto che lascia intendere tutto il contrario di tutto, Becca e Howie si buttano nella tana del coniglio sperando di poter raggiungere quella felicità che vorrebbero esistesse in uno dei tanti universi paralleli ai quali Jason, giovane sensibile studente che ha investito loro figlio, crede totalmente perché anche lui fa fronte tutti i giorni una realtà che sembra troppo grande e troppo opprimente."Rabbit Hole" è un inno alla vita esorcizzando la morte, un punto di arrivo che non vuole guardarsi alle spalle, ma forse più della morte di un figlio, "Rabbit Hole" racconta di una perdita di qualcosa che si ha amato tanto e che non tornerà mai più e quel vuoto che quella perdita lascia e il dilemma di come poterlo riempire. Un dolore immenso che non scompare ma che cambia, l'unico problema è capire come e come saperlo affrontare.Un'esisetenza tagliata in due che cerca di ricongiungersi a se stessa con la consapevolezza che il futuro non si potrà mai più progettare ma che sarà da costruire passo dopo passo con un "poi" infinito che non troverà pace ma solo rassegnazione, un peso da portare in tasca che accompagnarà il cammino di una vita.Si soffre, e si ride, si piange e ci si commuove come se tutte le sensazioni toccate dai protagonisti fossero anche nostre, perché tutti hanno dovuto subire in qualche modo una perdita e "Rabbit Hole" non offre una soluzione ma un modo per sopravvivere nel modo meno difficile possibile ma senza promettere falsi rimedi e ipocrite scappatoie.Il vuoto e il peso che ci si porta dentro è quello delle persone che abbiamo amato e che sono andate via per sempre ma più universalmente di tutto ciò che credevamo sarebbe stato eterno e invece è sparito del tutto.John Cameron Mitchell è sentitamente coinvolto e lo fa notare nella delicatezza e nella discrezione di lasciare la storia nel suo naturale evolversi senza forzature inutili e senza banali giochi di drammatizzazione. Non sarà certamente il suo film più sconvolgente, e non è certamente un film innovativo nel suo genere, ma la sensibilità di osservare ma mai in modo invasivo i personaggi e le situazioni rendono la sua regia una buona lezione di ottimo Cinema indie americano che senza fronzoli superflui e senza esagerazioni ritrare con semplicità una famiglia che è intrappolata in un limbo alla quale, pur nelle sue imperfezioni ci si sente quanto mai più vicini. La telecamera scivola con dolcezza sui volti dei protagonisti, rimane sempre coerente alle circostanze e se con "Shortbus" aveva fatto, sotto questo punto di vista, un ottimo lavoro, qui se è possibile supera se stesso, con la differenza che pur nell'essere meno estremo risulta più commossamente legato ma contemporaneamente distaccato in modo lucido da non compromettere il risultato con una eccessivo coinvolgimento.Ma John Cameron Mitchell non ha fatto tutto da solo, il merito va anche all'ottima sceneggiatura di Lindsay-Abair che con astuzia riadatta il suo dramma e le modifiche dovute e necessarie rimagono fedelissime agli intenti iniziali.Il cast, c'è poco da dire, è ottimo. Un team di attori in stato di grazia, a proprio agio con un tema così difficile, cappeggiato da una strepitosa Nicole Kidman che non sbaglia un tono, uno sguardo, un gesto, esplora tutti i livelli possibili e tutta la vasta gamma di emozioni legate al suo personaggio. Vince due volte: come attrice e come produttrice, questo film è all'80% un suo lavoro. Dura ma lacerata, si può addirittura sentire quasi toccare la rabbia e la disperazione silenziosa che si porta dentro, non è mai eccessiva e regala momenti di pura recitazione.Aaron Eckhart la segue, senza nulla da invidiare, riesce ad essere sensibile e determinato allo stesso tempo, con onestà e con convinzione interpreta il dolore di un padre intrappolato nel proprio passato.Miles Teller è una giovane promessa, si sentirà parlare ancora molto di lui si spera perché vedendolo nei panni di Jason, accidentale assassino di Danny, fa venire un groppo in gola. Howie, Becca e Jason, tre anime perse che devono far fronte a una situazione molto più grande di loro ma che dovranno superare insieme senza biasimarsi, senza accusarsi ma condividendo ciò che si portano dentro. Ognuno di loro sopravvive come può ma non possono e non devono trovarsi da soli."Rabbit Hole" insegna anche questo, quanto gli altri siano importanti per poter sopravvivere alla vita stessa, e soprattutto condividere ciò che si ha nel cuore aiuta a rendere "il poi" della vita più facilmente accettabile e più facile da digerire.Un film che colpisce all'anima e al cuore, semplice ma forse per questo molto più potente.Esattamente come la vita.