sabato 27 marzo 2010

I misteri del giardino di Compton House (1982)

Un film di Peter Greenaway. Con Anthony Higgins, Janet Suzman, Anne Lambert, Anne Louise Lambert, David Gant. Titolo originale The Draughtsman's Contract. Drammatico, durata 103 min. - Gran Bretagna 1982.
Inghilterra fine 1600. Una ricca signora chiede ad un pittore di eseguire dodici disegni della sua residenza da donare al marito che l'ha sposata per interesse, purché ogni giorno, finito il lavoro, si sollazzi con lei a letto.

Inno, ode, lode all'epoca Barocca come massima rappresentazione della decadenza morale e sociale che affronta periodicamente il ciclo storico. Molto più simile alla nostra società contemporanea di quanto non si immagini, l'epoca barocca è combattuta nei suoi binari paralleli di opposti che la compongono cercando una logica di fondo tra il brutto e il bello, il vecchio e il nuovo, il fatiscente e e l'elegante.
Peter Greenway conosce la soluzione ma non sente il bisogno di offrirci nessuna logica dominante, perchè si sa che nei suoi film la storia non ha uno sviluppo di primaria importanza ma è un pretesto per rendere scenografici ed esteriori concetti estremi come sesso, morte, ipocrisia, vanità, dolore, tristezza, solitudine. Il giardino, è il vero protagonista del film che opera una forza coercitiva su personaggi anonimi e neutrali, didascalici nelle loro azioni, privi di psicologia in un contesto privo di alcun sentimento. Il giardino è l'unico ad avere un senso, ad essere realmente bello, e a volte, sembra addirittura più vivo degli individui, e nelle sua bellezza quasi astratta cercano di trovare una logica che ristabilisca l'ordine delle cose.

Flesh (1968)

Un film di Paul Morrissey. Con Joe Dallessandro, Geraldine Smith, John Christian, Maurice Bradell, Candy Darling Drammatico, durata 105 min. - USA 1968.


Flesh di Paul Morrisey non è comprensibile se tolto dal contesto in cui si trova e per il quale è stato creato. Perchè Flesh (ma anche come Trash e molti altri film di Morrisey) è una creatura indivisibile dalla art house di Andy Wharol e della sua concezione estetica di corpo vivo e anche per questo oggetto sessuale. Joe è una figura, un oggetto, un'immagine ma anche se passivo, consapevole di esserlo e quindi implicitamente attivo. Attivo perchè appartiene ad una categoria, ad un modello di vita, ad una delineazione ben precisa di corpo, persona e idea. L'idea di bellezza estetica di Morrisey è legata a quella di Wharol e a quella della sua pop-art e appartiene al dinamismo sociale americano di fine anni 60 che darà vita al 68 e a tutte le sue piccole, grandi rivoluzioni in cui I corpi sono tali solo se appartengono all'idea di corpo solo se si esprimono non solo fisicamente-esteticamente ma anche sessualmente, cioè se si comportano e se agiscono per ciò che sono stati creati.
E' un film documentaristico, lontano da effetti drammatici enfatizzati, non cerca neanche di essere un film drammatico nel senso classico del termine, uno di quei film realizzati lontani da Hollywood e dai suoi schemi. E' uno dei primi passi verso il cinema indie americano che trova un suo pubblico, un suo contesto. Non si può immaginare Flesh lontano da Andy Wharol, lontano dai cambiamenti sociali giovanili, lontano dagli anni 60 americani.

mercoledì 24 marzo 2010

Il Profeta (2009)


Malik El Djebena ha 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigione. In carcere avrà la protezione offertagli da un mafioso corso, dovrà uccidere per farsi accettare, dovrà ampliare le sue conoscenze, sfruttare le sue abilità per sopravvivere. Passo dopo passo riuscirà a costruirsi un piccolo impero.
Uno dei grandi limiti del genere umano è l'incapacità di saper ascoltare. Malik invece, sa ascoltare benissimo e crea da questo semplice gesto tutta la sua fortuna e una nuova vita. Ascolta diversi linguaggi, dialetti, accenti, le inclinazioni dei toni delle voci, e sopratutto ascolta le opinioni, le sensazioni, sente il peso delle parole. Ed è così che lui, senza etnia, religione, creerà un mondo tutto suo, un ibrido tra arabo, francesce, corso, creerà un gruppo personale particolare al quale appartenere. Malik è il profeta non solo per la sua predisposizione ad ascoltare il prossimo ma perchè conosce il carattere della giusta misura, della mediazione, della diplomazia in un luogo, come il carcere, dove spesso l'istinto prevale sulla ragione. Negli altri e in se stesso non vede mai l'assoluto e non è mai intransigente, ma con spontanea e straordinaria freddezza calcolatrice adatta le ipotesi alle soluzioni, conosce in anticipo le conseguenze delle azioni, e per ogni situazione ne analizza tutte le possibili conseguenze prima di farsi trasportare dalla fretta di agire, proprio grazie a quella calma del suo saper ascoltare.
Audriard fa sciovalare la narrazione in modo così fluido da non mostrare esplicitamente la personalità di Malik, che si deve evolvere ed esplicitare attraverso le sue azioni, così da lasciarlo nel mistero: senza passato, senza cultura, senza storia, Malik è l'uomo nuovo, che impara, elabora, fagocita tutto e di questo tutto ne fa una cosa sola che col tempo diventerà sua.
Oltre alla più chiassosa critica al sistema carcerario francese (e non solo), Audriard porta avanti un'altra analisi, ben più sottile e silenziosa e in questo intento è tanto lucido quanto il suo Malik lo è nel perseguimento dei suoi obiettivi. Questa analisi si riferisce all'uomo globalizzato e la sua capacità di elaborare il rapporto causa-effetto con gli elementi che raccoglie e che studia con il suo intelletto. Malik è un dissimulatore, è il titpico uomo sociale-politico che va oltre la morale, che non ascolta la coscienza, ma che consce il significato di ogni sua azione e quindi anche capace di compiere atti purissimi come l'amicizia e la capacità di ricordare.
Malik è senza passato, è senza storia, quindi è libero? L'uomo senza il peso del suo passato, pur convivendo con il suo ricordo, può essere davvero libero? Audriard sembra dirci di si.

sabato 20 marzo 2010

Il Cattivo Tenente (2009)

Titolo originale: Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans Nazione: U.S.A. Anno: 2009 Durata: 121' Regia: Werner Herzog Cast: Nicolas Cage, Val Kilmer, Eva Mendes

Terence McDonagh, detective della Squadra Omicidi del Dipartimento di Polizia di New Orleans, salva un prigioniero che rischia di annegare nella furia dell'uragano Katrina. Durante l'operazione subisce un grave infortunio alla schiena. Viene promosso Tenente, gli prescrivono degli antidolorifici e lo riammettono in servizio. Un anno dopo, Terence ha una dipendenza dal Vicodin e dalla cocaina, sostenuta dalla presunzione di saper svolgere il proprio dovere, di essere un poliziotto migliore di quanto non sia mai stato.

Inutile cercare analogie con gli altri lavori di Herzog, ancora una volta il regista tedesco firma un film dal registro e dallo stile diverso, pur mantenendo elementi indenebili del suo cinema.Erroneamente segnalato come un remake del pur bello film di Ferrara, questo cattivo tenente di Herzog non potrebbe essere più diverso, e le differenze tra i due film si sprecano.L'atmosfera umida della New Orleans post Katrina fanno da sfondo ad una storia ironica di redenzione che passa fuori dagli anditi della religiosità, ma è tutto strettamente legato al puro caso, che non ha nè logica nè un senso. Una storia che si costruisce sulle coincidenze e conseguenze, e gli elementi onirici si inseriscono in modo subdolo per infastidire chi assiste a questa parabola di autodistruzione, buttando nella confusione di dover subire una costante tragicità, talmente profonda e grottesca che in alcuni casi risulta difficile trattenere le risate, che arrivano ad un livello quasi isterico. Questa ambiguità, la violenza (sopratutto mentale) quasi comica, eccessiva, volgare sono il punto forte del film. E l'altro punto forte è un Cage macchiettistico, voltagabbana e sopra le righe, ma in modo sublime. A riprova che se diretto da buone mani sa fare belle cose.

Random Toughts # 2

Whip-it (2009)

Piacevolissima sorpresa. Drew Barrymore dirige con sapiente sobrietà una commedia sulla voglia di crescere attraverso l'esprimere se stessi, aiutati questa volta dallo sport, che più che una passione diventa proprio un modo d'essere. Soundtrack strepitosa: dai Ramones ai .38 Special, passando per i Gotye fino ad arrivare a Dolly Parton.

The Vicious Kind (2009)
Commedia in salsa agrodolce, molto rustica e spigolosa. Relazioni familiari, sotterfugi amorosi, desiderio e voglia di cambiare proprio per conquistare le cose che si desiderano. A volte si cambia in peggio, altre volte in meglio. Una storia di quasi redenzione grazie all'amore, anche se incompiuto come in questa storia è giusto che sia.


Humpday (2009)
Per 15 minuti di gloria che cosa non si è disposti a fare...Anche girare un porno gay con il proprio migliore amico. Ma proprio questa è l'occasione per riscoprire veramente il valore dell'amicizia. Commedia divertente ma che forse non arriva fino in fondo, rimanendo un po' in superficie puntando più sulla risata facile delle situazioni scontate.


La Mujer Sin Cabeza (2009)

Dramma completamente svolto nella cornice della mente. Rimorso, dubbio, crisi di coscienza. Un film ansiogeno che con precisione quasi chirurgica svela le mille varianti e la mutevolezza della psiche umana. Quando la coscienza diventa un labirinto di ossessioni è difficile salvarsi. Un film di carattere.


Hard Candy (2005)

Film shock che ha lanciato la piccola stella di Ellen Page. Gioventù bruciata, cresciuta tra la multimedialità, fredda tecnologia, finzione. Crudeltà nata dall'incapacità di porsi un limite, distinguere quello che è giusto da quello che è sbagliato. Vendetta sadica. Non si approvano i mezzi, ma si approva il fine dell'angelo vendicatore Hayley, si simpatizza per lei e mette così in crisi i valori morali a cui siamo abituati ad obbedire. Il fine giustifica davvero i mezzi? Un film che non appartiene a nessun genere ma che si tira un po' per le lunghe e in molti casi manca di adrenalina e suspance. Ma certamente mette a disagio.

La Proposta (2005)

Western atipico australiano. Atmosfere soffocanti, paesaggi deserti, fotografia dai toni giallastri che riportano alla mente paesaggi apocalittici (il regista è lo stesso di The Road, che può essere considerato come un continuo di questo film). L'Outback australiano non è mai stato ritratto così duramente. Terra inospitale quasi aliena che porta l'uomo a compiere le più brutali azioni rigettandolo nella sua condizione animale, senza coscienza, incapace di raziocinio, senza futuro. Film privo di speranza.

Il mercante delle quattro stagioni (1971)

Un film di Rainer Werner Fassbinder. Con Hanna Schygulla, Hans Hirchmuller, Irm Hermann, Ingrid Caven Titolo originale Der Händler der vier Jahreszeiten. Drammatico, durata 89 min. - Germania 1972.
Con Il Mercante Delle Quattro Stagioni comincia il cinema enfatico (forse enfatizzato) di Rainer Fassbinder. L'aspetto formale, la compostezza apparente dei personaggi celano un disagio che da questo film in poi prenderà le sembianze di un problema sociale profondamente descrittivo della società tedesca ma in più in generale dell' Europea-capitalista.
L'impostazione quasi teatrale da una sensazione di coinvolgimento totoale nella quale lo spettatore si ritrova immerso usando come occhio la telecamera, Fassbinder stimola le sensazioni ma sopratutto toglie alla narrazione qualsiasi retorica ideologica. I personaggi rappresentati nella loro natura più reale ed effimera non comunicano però un senso di realismo, ma al contrario una dimensione quasi distaccata dalla realtà. La freddezza formale, l'emotività ricercata molto spesso funziona ma altre volte lascia in bocca un senso spietato di repulsione.
Il Mercante Delle Quattro Stagioni è esattamente questo: disgusto, distacco, quasi ribrezzo. Personaggi, situazioni sgradevoli non hanno nessun carattere di abbellimento, sono scarni, impenetrabili, morti, nel finale si arriva quasi ad un nichilismo. Una natura morta che però definisce i contorni dell'emotività e sopratutto (e qui sta la bellezza e la genialità di Fassbinder) sa inniettare il siero velenoso del dubbio, dell'incertezza dello sviluppo della storia. Non si sa che cosa aspettarsi, e non si è pronti a tutto, ma stimolare una capacità critica, mobilitare la coscienza sociale e anche quasi politica è l'intento principale di Fassbinder, che costruisce su più livelli emotivi e descrittivi definendo (e poi col tempo affinando) la sua idea di film, quasi con uno schema hollywoodiano classico in mente, ma il melodramma non è solo sdolcinata emotività ma anche e sopratutto critica dal gusto documentaristico. L'ingenuità, la semplicità di fondo di Hans, la cerchia dei suoi antagonisti (famiglia, presunti amanti, l'acool), le sue disavventure, il dramma della sua condizione, la meschinità dei suoi impulsi non sono elementi che non devono portare ad un giudizio ma ad un coinvolgimento più completo, un melodramma “grande” (o almeno ci prova ad esserlo) nei sentimenti che vuole esprimere e nei suoi intenti.

mercoledì 17 marzo 2010

Mine Vaganti (2010)


Dopo il traballante Un Giorno Perfetto, Ferzan Ozpetek ritorna in grande forma con questa commedia dai gusti amari per raccontarci con affetto e profonda ironia una tipica famiglia italiana: ancora al passato e alle tradizioni, non per convinzione ma per la paura “di quello che dice la gente”, la paura di cambiare, è la base di una storia di segreti, incomunicabilità, affetti familiari la cui forma ed esistenza dipende da un rapporto di esigenza-sopportazione dettato appunto da tutto ciò che non è stato detto e da tutto ciò che è stato nascosto. L'apparente equilibrio e forza dei Cantone in realtà è fittizzio, ma i disagi, i problemi, sono la chiave per trovare l'autenticità e la felicità, che alla fine arriva, sopratutto sotto la forma di accettazione di questi figli “diversi”.
Ozpetek ha rischiato parecchie volte di cadere nella banalità nei suoi precedenti film, e forse anche qui nel complesso qualche forzatura c'è stata, ma non trascina la narrazione per le lunghe e il risultato è un film fluido, con personaggi che se anche un tantino stereotipati, sono gradevoli e amabili. Uno spirito ironico, magari non sempre incisivo, ma che non calca la mano e quindi descrive con disgrezione vecchie e nuove concezioni di coppia, famiglia, “diverso” nel nostro paese, ma non cercando di dare una spiegazione, semplicemente ponendosi in una posizione di relativismo per dare ad entrambe le parti in gioco una eguale importantza.
Un film dai colori accesi e vivaci, interpretazioni dal giusto equilibrio comico e drammatico, con alcune sorprese come Riccardo Scamarcio e Alessandro Preziosi.

sabato 13 marzo 2010

Gran Torino (2008)

Regia: Clint Eastwood, Cast: Clint Eastwood, Christopher Carley, Bee Vang, Ahney Her, Brian Haley, Anno: 2008, Genere: Drammatico, Thriller. Durata: 116'

Un veterano della guerra in Korea, Walt Kowalski, vive in un quartiere popolato proprio da koreani. Il suo carattere difficile, lo ha portato, negli anni, ad allontanarsi dai suoi famigliari, ed ora che nel suo quartiere si sta scatenando una banda tra bande rivali, si ritrova sempre più solo.

Walter Kowalski è un cavaliere solitario, dalla corteccia dura ma dal cuore tenero. Un uomo buono, che odia non per cattivera, ma perchè gli hanno insegnato a farlo. Ma non passerà un solo istante della sua vita sperando di smettere di odiare, di combattere contro tutto e tutti, contro la società e la vita stessa. E' un combattente stanco, che decide di sotterrare l'ascia di guerra per redimersi e tornare ad amare il prossimo e la vita.E' straordinario come Eastwood si innamori così perdutamente delle storie che racconta, e questo Gran Torino è tutto suo, è come un bambino che viene coccolato dalle braccia di papà Clint, ed è impossibile non lasciarsi trasportare da questo tepore, ma che può essere anche tanto doloroso.Una lezione di vita. Una film che va oltre i soliti e ormai banali schemi dell'idea di tolleranza, poichè non si può più parlare di pietà nè di compassione, ma solo di rispetto, puro e semplice rispetto recirpoco.

Ogni essere umano merita rispetto, ma solo per quello che è realmente e per quello che fa tutti i giorni.Una persona è la sua storia, le persone che incontra, le cose che dice, le cose che fa, le cose che pensa, ed Eastwood ci insegna che le ombre non sono meno importanti delle luci in un'anima, e che nessun difetto per quanto grave, può essere nascosto, e dev'essere invece condiviso. Quante cose ci ha insegnato Eastwood durante la sua carriera, tantissime cose. Ma questa volta il suo insegnamento è racchiuso in un piccolo gioiello, ben custodito e ben curato con gelosia e devozione. Come una Ford Gran Torino del 1972.Toccante, adorabile. Il miglior film del 2008.

Random Thoughts

L'Uomo In Nero, di Geroges Franju (1963)
Giustizia sociale per Geroges Franju. Siamo lontani storicamente dalla ribellione di Feuillade di inizio secolo ma permane ancora la feroce critica al sistema capitalista bramoso di denaro e potere. Rimane intatto il fascino ambiguo e misterioso di Judex, in questo film-omaggio spassionato che al vecchio Feuillade non sarebbe dispiaciuto affatto.


Gervaise, di René Clément (1955) Clement, è sempre stato un regista raffinato e anche questa volta con semplice ma tagliente innocenza e analisi regala alla storia del cinema uno dei personaggi femminili più toccanti e riusciti, ovviamente con la benedizione di Emile Zola. Un ritratto dettagliato sociale culturale che non tradisce gli intenti dal libro da cui è tratto, e rimane elegante e dignitoso sempre, anche quando la storia si fa sempre più tragica e squallida. Gervaise è la prima eroina della modernità, la prima paladina dell'emancipazione che pagherà a caro prezzo. Maria Schell straordinaria.


In Cerca di Mr. Goodbar di Richard Brooks (1977)
Un film dalla spiazzante crudeltà, un film che porta ad un finale inaspettato e terribile. Diane Keaton si libera dall'immagine di ragazza acqua e sapone un po' sbarazzina per calarsi nei panni di una donna allo sbando nello spirito alla ricerca di se stessa, desiderosa di dare e di ricevere senza badare alle conseguenze. Schiacciata da una città come New York dove tutti sono soli anche in mezzo alla gente. Lei è così, esattamente sola e incompresa. Cerca nel sesso, nella droga, nella vita da nottambula qualche significato che non troverà mai. Un finale dall'altissima drammaticità.

Donne Senza Uomini (2010)



Si vive dentro ad un sogno, trasportati dalla magia di un mondo sospeso, il giardino nella sua pace sembra un limbo dove il tempo si ferma e dove sembrano lontane le grida, le sofferenze, i disagi. Un sogno che sembra non finire, un sogno che sembra esserci sempre stato. Ma la realtà, anche nella sua più gretta forma è sempre più potente del sogno che spezza il suo incantesimo. E così, quattro donn,e accomunate solo da un disperato bisogno di libertà, si ritrovano in questo giardino forse consapevoli più di ogni altro che quello che stanno vivendo non durerà per sempre, e allora meglio coglierne tutta l'essenza nel minor tempo ma anche nel miglior modo possibile.
Quello che si vive è un sogno, sospesi tra vita e morte, ma anche tra il sentirsi ancora vivi desiderando la libertà e invece morire dentro a poco a poco. rinunciandovi Munis, Faezeh, Fakhiri e Zarin, lasciano che il tempo scorra, che lo spazio si delimiti rassicurate dalla loro dimensione privata di sogno, di invenzione, di creazione speciale e unica di questo giardino immenso che quiete accoglie le loro speranze. Chi più chi meno attaccata alla vita, sarà colei che è più vicina a lasciarla a buttarvici a capofitto, senza protezione, comunque non ignara che la morte alla fine, avrà la vittoria su tutto.
Shirin Neshat riempie di simbologie questo racconto di donne, forse rallentando un po' la struttura, ma Donne Senza Uomini si apprezza sopratutto per la bontà degli intenti, per la bella prova delle sue protagoniste e per purissimi momenti di pathos. Non è propiamente un film, forse è poesia, è fotografia, ma è anche politica. L'eccessiva politicizzazione della storia dunque, allontana il film dalla grandezza, ma non può essere visto non accettando il fatto di vedere una storia, un tempo, un luogo tutto iraniano, e quindi impregnato di quell'ostinato orgoglio e determinazione che appartiene a chi ancora vuole combattere per la propria libertà. Un popolo che non hai mai smesso di combattere. E primi fra tutti ci sono le donne, senza uomini.

mercoledì 10 marzo 2010

La Fiamma Del Peccato (1944)

Un film di Billy Wilder. Con Fred MacMurray, Barbara Stanwyck, Edward G. Robinson, Tom Powers Titolo originale Double Indemnity. Poliziesco, b/n durata 106 min. - USA 1944

Uno dei film più rappresentativi del genere noir, la Fiamma Del Peccato incentra la sua vicenda nel rapporto amorso che accompagna i due protagonisti Walter Nef e Phyllis Dietrichson, dal loro primo incontro fatale, al loro ultimo che invece si rivelerà mortale. Concentrato sopratutto sulla figura femminile di Phyllis, demone che incanta e allo stesso tempo distrugge, questo capolavoro di Wilder sperimenta una vasta gamma di situazioni e tocca molte corde della sensibiltà dello spettatore spaziando su vari toni impiegando però il suo impegno più grande nell'analizzare un rapporto estremo ed erotico-distruttivo che si è venuto a creare fra i due protagonisti. All'interno della vicenda si può perfettamente distinguere la passione che guida Walter verso l'oblio, mentre facciamo fatica a decidere se le intenzioni di Phyllis siano condotte da un estremo desiderio di rinnovamento e di liberazione dal marito-padrone, o più semplicemente dalla perfidia che è insita nella sua mente. E questa decisione permane fino alla conclusione della storia dove Phyllis si rivela per quello che è, e Walter avrà finalmente la forza di reagire e di sfuggire dalle grinfie della donna che credeva di amare.

Un omicidio che per genialità ed efficenza farebbe impallidire anche il killer più incallito, ma che tuttavia fa da contorno ad una storia d'amore disturbata e, dove il regista si sofferma più volte a scrutare l'attrazione fisica (più che psichica) che i due protagonisti nutrono l'uno per l'altra. Barbara Stanwyck, di un fascino esagerato, trasmette con efficenza tutta la malvagità del suo personaggio e Fred MacMurray, nella parte del ragazzo rude ma sempliciotto, funziona alla perfezione. Un gioiello non solo del genere noir, non solo della filomgrafia di Wilder, ma sicuramente di tutto la storia del Cinema.

L'enigma di Kaspar Hauser (1974)


Un film di Werner Herzog. Con Bruno S., Brigitte Mira, Walter Ladengast Titolo originale Jeder für sich und Gott gegen alle. Drammatico, durata 110 min. - Germania 1974.

L'incomprensibile, l'impenetrabile e l'impreparazione cronica umana di capire e sopratutto accettare ciò che è diverso porta a considerare quello che è fuori dall'ordinario come un fenomeno, un “freak”, qualcuno da compatire con patetica pietà. Ma chi è davvero diverso? Chi è davvero malato, strano, deviato? Chi cerca di vivere la sua natura? Oppure chi le altre nature non riesce ad accettarle? Esiste solo una natura? Solo una visione sociale della vita e dell'uomo? La vera storia di Kaspar Hauser (che sia stato un impostore o no) dimostra come l'uomo sia governato da influenze sociali che ha costruito egli stesso e di cui ora è solo vittima inconsapevole. E allora forse, Kaspar Hauser è solo il simbolo della inconsapevole e ingenua libertà di non appartenere a nessun schema prestabilito, di essere fuori dall'ordinario, fuori dalle “correnti del tempo”. Herzog gestisce bene questo bisogno di chiarezza nella figura di Hauser, non tanto per sapere chi fosse, da dove venisse, ma semplicemete per capire cosa davvero ha rappresentato e cosa ancora rappresenta. Una lezione di tolleranza? Un rimprovero al cinismo? Kaspar Hauser è una figura fallimentare, romantica, ma non lontana; l'uomo e la sua natura rimagono uguali nel tempo, sempre alla ricerca di qualcosa di mistico, divino, mentre la realtà sarebbe molto più semplice se solo i valori idealizzati venissero applicati nella quotidianità. Ed è così che Herzog con la sua rivisitazione del mito di Hauser non vuole impartire nessuna lezione universalistica ma semplicemente un modo intimo di trovare il modo di sentirsi più liberi e meno costretti ad appartenere a schemi sociali che molto spesso non ci rispecchiano. Con il suo solito stile poetico e la sua elegenza sofisticata, la finzione che Herzog costruisce attorno ad Hauser ha un'impronta documentarista sulla società tedesca romantica, conquistata da un ardente e ansioso desiderio di sapere e vivere ma troppo intrappolata nei suoi dogmi. Esattamente come il mito, la leggenda, o più semplicemente il trovatello Kaspar Hauser.

sabato 6 marzo 2010

Estasi Degli Angeli (1972)

Cast, Ken Yoshizawa, Rie Yokoyama, Yuki Arasa, Masao Adaki, Michio Akiyama, Yosuke Akiyama, Susumu Iwabuchi Regia, Koji Wakamatsu Sceneggiatura, Izuru Deguchi
Data di uscita, 1972 Gener, eDrammatico


Ci sono molti modi per approcciarsi a ciò che il decennio 1960-69 ha significato: nelle sue varie forme un movimento di ideali certamente, ma anche un tentativo di riscatto di una generazione di giovani che vogliono strapparsi alle regole e alla conformità della classe borghese dei loro genitori. Forme ideologiche, ma anche violente, che in molti casi si portano dietro l'angoscia e il turbanto di essere vicini al traguardo per poi cadere nel buio per motivi neanche tanto chiari e per questo ancora più dolorosi da affrontare e impossibili da accettare. L'Estasi Degli Angeli del regista nipponico provocatore Koji Wakamatsu trasforma in disagio violento e sessuale questa voglia di cambiamento fermata e repressa dagli ostacoli quotidiani di una società cieca ai bisogni e alle esigenze che non dovrebbero comprendere solo i giovani ma tutti i membri della stessa società. Chiusi in una stanza, i giovani ribelli fanno fronte ai loro fallimenti, alle loro tensioni e ai loro limiti. Limiti coperti dalla violenza, dal chiasso delle parole che ora in quella stanza perdono ogni significato.
Ricalcando in larga misura gli intenti che quasi dieci anni prima, e manco farlo apposta proprio all'inizio del decennio "rivoluzionario", aveva affrontato Godard nel suo La Cinese, Wakamatsu toglie completamente lo spirito ironico e analitico e trasforma il disagio della sconfitta in puro dramma, terrore e delirio violento, soprattuto mentale e sessuale.
Un film dai grandi significati simbolici che però si chiude nelle sue più strette convinzioni che alla fine formano un circolo vizioso di contenuti profondi ma mal spiegati e proposti che rendono la storia stancante. Un film comunque dal forte pathos, assolutamente distruttivo e diffcile da digerire come nella migliore tradizione Wakamatsu.

lunedì 1 marzo 2010

Valentino, L'Ultimo Imperatore


L'immagine di Valentino che emerge dal documentario di Matt Tyrnauer è quella che mai ti aspettavi di vedere. Valentino Garavani è stato, ed è ancora, uno di quei pochi uomini che è riuscito nella moda, a rendere indenebile il suo nome non solo con il suo lavoro ma ancor prima con il ritratto che minuziosamente ha preparato fin dall'inizio di una carriera, quasi in previsione del diventare un'icona, una divinità, una leggenda.Valentino Garavani è un creatore di moda, d'arte, ma sopratutto di bellezza. Mai schiavo delle leggi econimiche, mai stato una griffe sotto commissione della domanda di mercato, ma artista libero, capriccioso, simpaticamente snob ma anche capace di badare a quelle piccole cose di tutti i giorni, ai suoi affetti, ai suoi amici, ai suoi ricordi che fanno di un uomo qualcosa di grande.Un documentario commosso che mette la parola fine (forse del primo capitolo) all'avventura di un genio inziata quasi per gioco più di 60 anni fa quando a 13 anni il giovane Valentino rimase folgorato dalla bellezza delle ragazze del Zigfield Folies. Un'avventura che ha saputo conservarsi in tutto il suo gusto fresco, giovane, fanciullesco, fiabesco. Un uomo innamorato, più di se stesso, dell'immagine che porta e sopratutto di quello che ha saputo creare. Ogni vestito indossato da una donna, da Audrey Hepurn a Liz Tylor da Jacklyne Kennedy a Meryl Streep, ha costruito un pezzo di storia della moda e della nostra cultura.Valentino ha rivoluzionato la nostra società e sopratutto il modo di vedere la donna, ha riportato la sua immagine a una concezione quasi divina dantesca con corpi sinuosi che incedono elegantemente fasciati in abiti maestosi che creano pace e armonia per gli occhi.Valentino è un creatore del bello nel senso più assoluto del termine perchè il suo genio è il pefetto riassunto di tutta la meraviglia femminile che il secolo scorso ha saputo offrire. Ci si chiede, chi sarà l'erede di Valentino? Nessuno, perchè solo lui ha conosciuto grandi donne, solo lui ha saputo vedere nella donna quello che c'era da vedere ed è riuscito a coglierlo: donna bella non nell'aspetto ma nel saper trovare nella sobrietà dell'armonia e della naturalezza la sua giusta dimensione.Un documentario che sa raccontare tutto, che lascia andare senza interruzzioni una storia, un racconto, che scivola da se, senza sbavature, elegante, raffinato, maestoso, armonioso come Valentino.