Lo sguardo oggettivo e puro dell'asino Balthazar scruta ma senza giudicare il mondo che lo circonda, fatto da uomini viziosi e malvagi. Un'opera pessimista che insieme a Mouchette è quella più minimalista della filmografia di Bresson, e si sente in modo pesnante, il senso e la concezione metafisica del Male (concezione che trovarà il suo massimo ne Il Diavolo Probabilmente). Le emozioni espresse dai protagonisti sono ridotte all'osso, la narrazione scarna, ci si trova davanti a così poco materiale che tutto inevitabilmente si prospetta in una dimensione immateriale, universale. Le azioni dei personaggi non sono spiegate, esse provocano semplicemente una coercizione, una serie di regole malsane a cui inconsciamente tutti sono tenuti a seguire. E' solo l'asino Balthazar che riesce lucidamente a capire quello che lo circonda, è l'unico che riesce a dare un senso alle azioni che su di lui vengono compiute e che compie. Balthazar è la parte razionale dell'animo umano soffocato dalla sua natura che egli stesso produce col suo agire; vive in un mondo senza Dio ma prega per sostenere la parvenza di non esser rimasto solo, ed ecco che le preghiere sembrano solo cantilene insulse e i passi letti della Bibbia solo vuote parole; ama per autoconvincersi di vivere in una rete di attive intereazioni, ma l'amore non si rivela in nient'altro se non in un mero e passivo istinto sessuale. Senza valori, senza una morale condivisa che riesca tenere unita la società, ognuno agisce per il proprio interesse, i buoni sono schiacciati sotto il peso dell'arroganza individualista, i buoni rappresentati dal ciuco Balthazar, che non ha altro sollievo che cercare la pace nella morte. Non c'è speranza, non c'è nessun retroscena psicologico, solo la ribalta della vita, e la certezza che la morte pone fine a tutto, e almeno nella fine non c'è ne' bene e ne' male.
giovedì 25 febbraio 2010
Au Hasard Balthazar (1966)
Un film di Robert Bresson. Con Anne Wiazemsky, Walter Green, François Lafarge, Jean-Claude Guilbert Drammatico, b/n durata 90 min. - Francia, Svezia 1966.
Lo sguardo oggettivo e puro dell'asino Balthazar scruta ma senza giudicare il mondo che lo circonda, fatto da uomini viziosi e malvagi. Un'opera pessimista che insieme a Mouchette è quella più minimalista della filmografia di Bresson, e si sente in modo pesnante, il senso e la concezione metafisica del Male (concezione che trovarà il suo massimo ne Il Diavolo Probabilmente). Le emozioni espresse dai protagonisti sono ridotte all'osso, la narrazione scarna, ci si trova davanti a così poco materiale che tutto inevitabilmente si prospetta in una dimensione immateriale, universale. Le azioni dei personaggi non sono spiegate, esse provocano semplicemente una coercizione, una serie di regole malsane a cui inconsciamente tutti sono tenuti a seguire. E' solo l'asino Balthazar che riesce lucidamente a capire quello che lo circonda, è l'unico che riesce a dare un senso alle azioni che su di lui vengono compiute e che compie. Balthazar è la parte razionale dell'animo umano soffocato dalla sua natura che egli stesso produce col suo agire; vive in un mondo senza Dio ma prega per sostenere la parvenza di non esser rimasto solo, ed ecco che le preghiere sembrano solo cantilene insulse e i passi letti della Bibbia solo vuote parole; ama per autoconvincersi di vivere in una rete di attive intereazioni, ma l'amore non si rivela in nient'altro se non in un mero e passivo istinto sessuale. Senza valori, senza una morale condivisa che riesca tenere unita la società, ognuno agisce per il proprio interesse, i buoni sono schiacciati sotto il peso dell'arroganza individualista, i buoni rappresentati dal ciuco Balthazar, che non ha altro sollievo che cercare la pace nella morte. Non c'è speranza, non c'è nessun retroscena psicologico, solo la ribalta della vita, e la certezza che la morte pone fine a tutto, e almeno nella fine non c'è ne' bene e ne' male.
Lo sguardo oggettivo e puro dell'asino Balthazar scruta ma senza giudicare il mondo che lo circonda, fatto da uomini viziosi e malvagi. Un'opera pessimista che insieme a Mouchette è quella più minimalista della filmografia di Bresson, e si sente in modo pesnante, il senso e la concezione metafisica del Male (concezione che trovarà il suo massimo ne Il Diavolo Probabilmente). Le emozioni espresse dai protagonisti sono ridotte all'osso, la narrazione scarna, ci si trova davanti a così poco materiale che tutto inevitabilmente si prospetta in una dimensione immateriale, universale. Le azioni dei personaggi non sono spiegate, esse provocano semplicemente una coercizione, una serie di regole malsane a cui inconsciamente tutti sono tenuti a seguire. E' solo l'asino Balthazar che riesce lucidamente a capire quello che lo circonda, è l'unico che riesce a dare un senso alle azioni che su di lui vengono compiute e che compie. Balthazar è la parte razionale dell'animo umano soffocato dalla sua natura che egli stesso produce col suo agire; vive in un mondo senza Dio ma prega per sostenere la parvenza di non esser rimasto solo, ed ecco che le preghiere sembrano solo cantilene insulse e i passi letti della Bibbia solo vuote parole; ama per autoconvincersi di vivere in una rete di attive intereazioni, ma l'amore non si rivela in nient'altro se non in un mero e passivo istinto sessuale. Senza valori, senza una morale condivisa che riesca tenere unita la società, ognuno agisce per il proprio interesse, i buoni sono schiacciati sotto il peso dell'arroganza individualista, i buoni rappresentati dal ciuco Balthazar, che non ha altro sollievo che cercare la pace nella morte. Non c'è speranza, non c'è nessun retroscena psicologico, solo la ribalta della vita, e la certezza che la morte pone fine a tutto, e almeno nella fine non c'è ne' bene e ne' male.
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