E si, gli americans ci vedevano così: belli, ricchi, affascinanti, passionali, di classe, addirittura rivoluzionari. Certo che, come siamo cambiati in questi 40 anni.Ma evidentemente quell'immagine di grandi registi, divine star, Alfa Romeno decappotabili che sfrecciano per i fori imperiali è ancora troppo viva. Nine è per l'appunto questo, un'immagine. Non è certo un remake di 8 e 1/2 e non cerca neanche di esserlo, nessun regista sano di mente potrebbe mai farlo, sarebbe impossibile quanto per Guido scrivere la sua prima pagina di copione.Ma sarebbe riduttivo considerare Nine solo per questo, in realtà è qualcosa di molto più profondo. E' prima di tutto la storia di un genio, di cosa ha bisogno per andare avanti. Amore? Passione? Fantasia? Bellezza? Certo, ma sopratutto: umiltà. Una cosa che Guido imparerà col tempo e con fatica, quando vedrà prospettarsi davanti a lui una solitudine non solo artistica. Imparerà che il genio si trova sopratutto nelle cose semplici, in un volto, in una canzone, in una ciocca di capelli, in un vicolo. E dietro la storia di un genio, la storia dell'uomo che non sa distinguere quale è la sua casa e quale è il suo lavoro, non sa distinguire la realtà dalla finzione, e forse troppo presa da quest'ultima non si accorge che la gente intorno a lui, che compone il suo mondo, in realtà è molto diversa da come lui stesso si è impegnato di vederla. Luisa non è poi così arrendevole, Claudia non è poi così perfetta, Carla non è poi così sciocca, Mamma non è poi così lontana...Guido dovrà, attraverso i suoi ricordi, la sua fantasia, il suo estro, ritrovare quell'euilibrio e quella autenticità dove le azioni hanno sempre le loro conseguenze, e sarenno proprio le azioni di coloro che Guido vedeva come immobili e impassibili a ricondurlo in una nuova vita. Quando finalmente ciò accade vediamo Guido, con il passato alle sue spalle che lo guarda, lo osserva, lo guida, lo protegge, e poi il presente, l'amore della sua vita, Luisa, sua moglie, che entra da una porta ed è pronta a seguirlo ancora una volta in un nuovo viaggio. Guido prende in braccio al sua vita e con lei tutto l'amore per essa, per le sue donne. Saranno proprio loro, le sue donne a far continuare in lui quel sogno che non è cominciato con la parola "azione" e non si concludrà quando le luci si riaccenderanno. E' un sogno che parte da lontano e che andrà anche oltre. Questo è il cinema: sognare senza porsi dei limiti, ricondandosi però che è la vita di tutti giorni quella materia prima di cui i sogni si nutrono e i primi hanno bisongno dell'altra, come un figlio di sua mamma, come un regista della sua musa, come una moglie di suo marito. Come un genio della sua arte, come un sognatore del suo sogno.Ma andando oltre al livello emotivo non si può dire che tecnicamente sia perfetto, la regia è stata molto superficiale relegando quasi al caso la riuscita di alcune scene, c'è molta ridondanza, il sovrapporsi dell'immaginazione di Guido con la realtà è forse un po' troppo poco spontanea.Daniel Day-Lewis riesce a ritrarre bene il personaggio di Guido. Forse molti si aspettavano un Guido alla Marcello, sommesso e silenzioso, ma sarebbe stato un errore. Questo Guido è diverso perchè è diversa la storia, il significato. Questo ripetuto accostamento ad 8 e 1/2 è legittimo ma chi conosce bene il film di Fellini dovrebbe vedere le dovute ed evidenti differenze.La migliore è comunque Marion Cotillard, intensa, malinconica, sofferta, riesce ad esprimere con uno sguardo tutto il dolore di moglie che ha sacrificato tutta se stessa per suo marito. Anche la Cruz è brava, simpatica e divertente all'inizio dolorosa poi, fa nascere sentimenti di simpatia e di compassione. E solo Nicole Kidman poteva interpretare Claudia, diva ambigua e incompresa, regina dello schermo stanca di essere considerata una dea, stanca del suo piedistallo: lei non è quella Claudia che si vede nei manifesti ma è una Claudia meno perfetta e più donna, è un grande dolore accorgersi che Guido quella donna non la conoscerà mai; è comunque un personaggio poco sviluppato, quasi solo accennato. Un peccato, poteva nascere un grande ruolo. Sofia Loren, bè non fa granchè, ma quando entra in scena il senso nostalgico appena velato per l'intero film esplode terribilmente. Impossibile non pensare almeno per un istante a "come eravamo grandi, e come siamo piccoli ora", sopratutto quando nella scena successiva c'è Martina Stella. Kate Hudson e Fergie fanno il loro lavoro, ma niente di che, anche se Be Italian è forse la canzone che rimane più impressa.La Dench è l'elemento comico del film, l'ago della bilancia; straordinaria, potrebbe stare immobile ed essere grande lo stesso.Un musical che non ha niente da invidiare ad altri ultrimi lavori come The Producer o Dream Girls, che sono NETTAMENTE inferiori a questo. Marshall ha anche evitato l'effetto Chicago 2, anche se ci è andato parecchio vicino molte volte. Infatti sembra un po' spaurito, all'inizio tentenna a trovar la sua strada ma che poi arriva man mano che i personaggi si svelano. Un film che si basa quindi sulla prova dei suoi attori e su quell'immagine di una Italia fatta di cineprese, studi cinematografici, lustrini; perfetta almeno sulle pizze della pellicola.
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