E' sempre difficile poter scrivere qualcosa quando ci si trova davanti un autore come Von Trier. Ed è ancora più difficile quando un autore del genere realizza opere come questo Antichirst.
Cercare di dare una chiave razionale a questo film vuol dire non averlo visto con trasporto, cercare di avere un giudizio lucido (che sia positivo o negativo) vuol dire non averlo assimilato a dovere. Si perchè Antichirst si apprezza molto di più se preso nel suo senso di irrisolutezza e ambiguità, che non suona come una giustificazione ad alcune mancanze come sintetizzerebbe qualcuno, ma è esattamente la sua natura, che pur scomoda e fastidiosa non può essere messa da parte per soddisfare i nostri capricci di chi guarda.
Antichirst è più film fatto per Von Trier, per combattere i suoi demoni, la sua depressione, il suo mal di vivere. Ci offre uno specchio con cui guardare la sua anima e involontariamente guardare la nostra, perchè in fondo, l'Anticristo non nient'altro che in tutti noi: le nostre paure, i nostri desideri sopiti e la nostra natura inespressa.
L'Anticristo non è la donna, neanche la natura e forse non è neanche Von Trier. Forse non è neanche la razionalità, bensì l'irrazionalità. La freddezza dell'irrazionalità è la freddezza del film che esplora facendoci paura cosa è il dolore: un'essenza del tutto illogica e quindi impossibile da capire, affrontare, superare con la ragione. Ed ecco che qui si compie l'unico scontro visibile del film: quello fra uomo e donna. La donna, il suo coraggio di capire che non c'è limite al dolore, che non c'è un fine ma solo un inizio e nel suo freddo e lucido viaggio analitico di due psicologie, Von Trier regala alla figura femminile una forza inaudita (impossibile per questo accusarlo di misoginia) di fare scelte scomode e di capire sopratutto che la natura umana, la vita in generale è un senso spietato di caos e disordine. E la donna si scontra con l'uomo, ritratto invece come debole, che cerca di dare un'etichetta a tutto e di dare uno spazio e una dimensione a quello che invece non può incatenare e decifrare: la sua sfera emotiva. Nessuno dei due si sente veramente il colpa della morte del figlio fino a quando hanno per la prima volta un rapporto sessuale, se prima la colpa era una dimensione per decifrare il dolore, quindi poco sentito e reale, ora invece ha un sapore nuovo di frustrazione e di tragedia, una dimensione scomoda esattamente come le scene di sesso e violenza. Violenza visiva che non ha altro scopo se non di dare un impatto più forte e impressionante alla vicenda, ma non c'è da sbagliarsi: il film non è né fiscio né visivo, bensì intellettuale, mentale, astratto. Ricco di metafore, di riferimenti. Significati anche religiosi, storici: lo scontro tra bene e male è sostituto dallo scontro tra uomo e donna, il primo ancora inconsapevole della sua natura intento solo a ristabile un ordine fittizio da lui stesso creato, e la donna invece che riconosce la colpa e il dolore e lo elabora totalmente nella dimensione più adeguata: la pazzia. La donna si attacca di più al dolore e alla dimensione esasperata di esso, e così a tutte le sue conseguenze . Il fatto che il figlio sia morto proprio nell'istante in cui lei provava piacere la esaspera; come madre sentiva tutti i sentimenti del figlio in parallelo, come in simbiosi, ma proprio in quell'istante i sentimenti erano contrapposti drammaticamente. Ed è qui che arriva la dura consapevolezza di aver perso il proprio figlio, non solo fisicamente ma anche e sopratutto emotivamente e spiritualmente. Ma la donna è artefice di se stessa, è padrona della sua emotività e del suo corpo, capace di capire, interiorizzare e poi annientare il dolore; al contrario dell'uomo che così attaccato alla materialità ha un senso di se molto lontano e distaccato. Anche se alla fine della lotta l'uomo sembra trionfare in realtà è la donna a vincere: essa vivrà nella Natura, quella Natura stessa irrazionale e selvaggia come lei, usata dall'uomo per trovare pace e serenità e proprio qui punitrice di una inutile e falsa redenzione.
Antichirst è un film non “bello”, ma è un prodotto affascinante della mente di un genio (non c'è nessuna vergogna nell'ammetterlo) e forse proprio per questo non c'è risposta alcuna a questo film, tutto quello che è stato scritto è forse tutto sbagliato, tutto è appeso un filo e completamente modificabile. Questo è il bello, quello di avere la sensazione che ciò che esattamente sta capitando nel film sta capitando anche a chi assiste, è una collaborazione, uno scambio di attività.
Cercare di dare una chiave razionale a questo film vuol dire non averlo visto con trasporto, cercare di avere un giudizio lucido (che sia positivo o negativo) vuol dire non averlo assimilato a dovere. Si perchè Antichirst si apprezza molto di più se preso nel suo senso di irrisolutezza e ambiguità, che non suona come una giustificazione ad alcune mancanze come sintetizzerebbe qualcuno, ma è esattamente la sua natura, che pur scomoda e fastidiosa non può essere messa da parte per soddisfare i nostri capricci di chi guarda.
Antichirst è più film fatto per Von Trier, per combattere i suoi demoni, la sua depressione, il suo mal di vivere. Ci offre uno specchio con cui guardare la sua anima e involontariamente guardare la nostra, perchè in fondo, l'Anticristo non nient'altro che in tutti noi: le nostre paure, i nostri desideri sopiti e la nostra natura inespressa.
L'Anticristo non è la donna, neanche la natura e forse non è neanche Von Trier. Forse non è neanche la razionalità, bensì l'irrazionalità. La freddezza dell'irrazionalità è la freddezza del film che esplora facendoci paura cosa è il dolore: un'essenza del tutto illogica e quindi impossibile da capire, affrontare, superare con la ragione. Ed ecco che qui si compie l'unico scontro visibile del film: quello fra uomo e donna. La donna, il suo coraggio di capire che non c'è limite al dolore, che non c'è un fine ma solo un inizio e nel suo freddo e lucido viaggio analitico di due psicologie, Von Trier regala alla figura femminile una forza inaudita (impossibile per questo accusarlo di misoginia) di fare scelte scomode e di capire sopratutto che la natura umana, la vita in generale è un senso spietato di caos e disordine. E la donna si scontra con l'uomo, ritratto invece come debole, che cerca di dare un'etichetta a tutto e di dare uno spazio e una dimensione a quello che invece non può incatenare e decifrare: la sua sfera emotiva. Nessuno dei due si sente veramente il colpa della morte del figlio fino a quando hanno per la prima volta un rapporto sessuale, se prima la colpa era una dimensione per decifrare il dolore, quindi poco sentito e reale, ora invece ha un sapore nuovo di frustrazione e di tragedia, una dimensione scomoda esattamente come le scene di sesso e violenza. Violenza visiva che non ha altro scopo se non di dare un impatto più forte e impressionante alla vicenda, ma non c'è da sbagliarsi: il film non è né fiscio né visivo, bensì intellettuale, mentale, astratto. Ricco di metafore, di riferimenti. Significati anche religiosi, storici: lo scontro tra bene e male è sostituto dallo scontro tra uomo e donna, il primo ancora inconsapevole della sua natura intento solo a ristabile un ordine fittizio da lui stesso creato, e la donna invece che riconosce la colpa e il dolore e lo elabora totalmente nella dimensione più adeguata: la pazzia. La donna si attacca di più al dolore e alla dimensione esasperata di esso, e così a tutte le sue conseguenze . Il fatto che il figlio sia morto proprio nell'istante in cui lei provava piacere la esaspera; come madre sentiva tutti i sentimenti del figlio in parallelo, come in simbiosi, ma proprio in quell'istante i sentimenti erano contrapposti drammaticamente. Ed è qui che arriva la dura consapevolezza di aver perso il proprio figlio, non solo fisicamente ma anche e sopratutto emotivamente e spiritualmente. Ma la donna è artefice di se stessa, è padrona della sua emotività e del suo corpo, capace di capire, interiorizzare e poi annientare il dolore; al contrario dell'uomo che così attaccato alla materialità ha un senso di se molto lontano e distaccato. Anche se alla fine della lotta l'uomo sembra trionfare in realtà è la donna a vincere: essa vivrà nella Natura, quella Natura stessa irrazionale e selvaggia come lei, usata dall'uomo per trovare pace e serenità e proprio qui punitrice di una inutile e falsa redenzione.
Antichirst è un film non “bello”, ma è un prodotto affascinante della mente di un genio (non c'è nessuna vergogna nell'ammetterlo) e forse proprio per questo non c'è risposta alcuna a questo film, tutto quello che è stato scritto è forse tutto sbagliato, tutto è appeso un filo e completamente modificabile. Questo è il bello, quello di avere la sensazione che ciò che esattamente sta capitando nel film sta capitando anche a chi assiste, è una collaborazione, uno scambio di attività.
Nessun commento:
Posta un commento