La vita di O-Haru è una concezione nata per difetto dall'universo maschile. In aperta polemica con l'egemonia dell'uomo, Mizoguchi conferisce alla figura di O-Haru tutte le caratteristiche che l'uomo ha creato socialmente e culturalemente per identificare la donna. E' come se l'uomo per comprendere se stesso creasse una relazione di dominio e possedimento della donna escludendola da ogni forma di dialogo o interazione diretta. La donna si esplica con la figura maschile e con il suo operato, azioni che non sono intese da O-Haru se non come fatti provocati dal destino che l'ha estraniata da questo processo di comprensione dalla logica maschilista e sessista non riesce a ribellarsi e a liberarsi da questa condizione di sottomissione. O-Haru, e con lei la figura della donna, è considerata come elemento naturale dell'uomo, un oggetto, che pur non capendo la sua posizione si affida alla sua emotività, al suo dolore, a questa alienazione per comprendere se stessa e la sua vita. Pur non riuscendo a proiettare se stessa nella sua società, accetta se stessa nella sua solitudine. Mizoguchi con la sua consueta eleganza conferisce un aurea di misticità alla figura di O-haru, idealizzandola, e in qualche modo rendendola autonoma nella sua caratterizzazione ma non per le sue differenze in quanto donna (qualcosa di opposto all'uomo quindi) ma per ciò che riguarda la sua sfera emotiva, la sua capacità di instaurare una intimità che non sia un rapporto di potere e di convenienza. O-haru in qualche modo si trasforma nello squallore che subisce diventanto sprezzante e sempre più nauseata da ciò che la circonda, e subisce il suo essere donna (quindi la sua diversità) in una società dominata dall'uomo, ma con la semplicità e la schiettezza di aggrapparsi ad ogni relazione affettiva potenzialmente realizzabile, pur rimanendo sempre alienata. Il suo disgusto si trasforma prima in tristezza, poi in orrore, poi in rabbia e poi in rassegnazione. Mizoguchi traccia una linea in cui segna dei punti. sono gli stati d'animo di Oharu, in una amplificazione sempre più forte ed esasperante di ciò che sente e sopratutto di ciò che vive in una realtà che riesce solo ad accusarla e insultarla ma mai a comprenderla; una realtà che si fa sempre più sporca sempre meno capace di perdonare e di dare un senso alle sue azioni, esattamente come O-Haru che alla fine si ritroverà per sempre sola con il bagaglio pesantissimo e opprimente della sua sofferenza.
mercoledì 24 febbraio 2010
Vita di O-Haru, donna galante (1952)
Un film di Kenji Mizoguchi. Con Kinuyo Tanaka, Ichiro Sugai, Toshiro Mifune Titolo originale Saikaku Ichidai Onna. Drammatico, b/n durata 135 (148) min. - Giappone 1952.
La vita di O-Haru è una concezione nata per difetto dall'universo maschile. In aperta polemica con l'egemonia dell'uomo, Mizoguchi conferisce alla figura di O-Haru tutte le caratteristiche che l'uomo ha creato socialmente e culturalemente per identificare la donna. E' come se l'uomo per comprendere se stesso creasse una relazione di dominio e possedimento della donna escludendola da ogni forma di dialogo o interazione diretta. La donna si esplica con la figura maschile e con il suo operato, azioni che non sono intese da O-Haru se non come fatti provocati dal destino che l'ha estraniata da questo processo di comprensione dalla logica maschilista e sessista non riesce a ribellarsi e a liberarsi da questa condizione di sottomissione. O-Haru, e con lei la figura della donna, è considerata come elemento naturale dell'uomo, un oggetto, che pur non capendo la sua posizione si affida alla sua emotività, al suo dolore, a questa alienazione per comprendere se stessa e la sua vita. Pur non riuscendo a proiettare se stessa nella sua società, accetta se stessa nella sua solitudine. Mizoguchi con la sua consueta eleganza conferisce un aurea di misticità alla figura di O-haru, idealizzandola, e in qualche modo rendendola autonoma nella sua caratterizzazione ma non per le sue differenze in quanto donna (qualcosa di opposto all'uomo quindi) ma per ciò che riguarda la sua sfera emotiva, la sua capacità di instaurare una intimità che non sia un rapporto di potere e di convenienza. O-haru in qualche modo si trasforma nello squallore che subisce diventanto sprezzante e sempre più nauseata da ciò che la circonda, e subisce il suo essere donna (quindi la sua diversità) in una società dominata dall'uomo, ma con la semplicità e la schiettezza di aggrapparsi ad ogni relazione affettiva potenzialmente realizzabile, pur rimanendo sempre alienata. Il suo disgusto si trasforma prima in tristezza, poi in orrore, poi in rabbia e poi in rassegnazione. Mizoguchi traccia una linea in cui segna dei punti. sono gli stati d'animo di Oharu, in una amplificazione sempre più forte ed esasperante di ciò che sente e sopratutto di ciò che vive in una realtà che riesce solo ad accusarla e insultarla ma mai a comprenderla; una realtà che si fa sempre più sporca sempre meno capace di perdonare e di dare un senso alle sue azioni, esattamente come O-Haru che alla fine si ritroverà per sempre sola con il bagaglio pesantissimo e opprimente della sua sofferenza.
La vita di O-Haru è una concezione nata per difetto dall'universo maschile. In aperta polemica con l'egemonia dell'uomo, Mizoguchi conferisce alla figura di O-Haru tutte le caratteristiche che l'uomo ha creato socialmente e culturalemente per identificare la donna. E' come se l'uomo per comprendere se stesso creasse una relazione di dominio e possedimento della donna escludendola da ogni forma di dialogo o interazione diretta. La donna si esplica con la figura maschile e con il suo operato, azioni che non sono intese da O-Haru se non come fatti provocati dal destino che l'ha estraniata da questo processo di comprensione dalla logica maschilista e sessista non riesce a ribellarsi e a liberarsi da questa condizione di sottomissione. O-Haru, e con lei la figura della donna, è considerata come elemento naturale dell'uomo, un oggetto, che pur non capendo la sua posizione si affida alla sua emotività, al suo dolore, a questa alienazione per comprendere se stessa e la sua vita. Pur non riuscendo a proiettare se stessa nella sua società, accetta se stessa nella sua solitudine. Mizoguchi con la sua consueta eleganza conferisce un aurea di misticità alla figura di O-haru, idealizzandola, e in qualche modo rendendola autonoma nella sua caratterizzazione ma non per le sue differenze in quanto donna (qualcosa di opposto all'uomo quindi) ma per ciò che riguarda la sua sfera emotiva, la sua capacità di instaurare una intimità che non sia un rapporto di potere e di convenienza. O-haru in qualche modo si trasforma nello squallore che subisce diventanto sprezzante e sempre più nauseata da ciò che la circonda, e subisce il suo essere donna (quindi la sua diversità) in una società dominata dall'uomo, ma con la semplicità e la schiettezza di aggrapparsi ad ogni relazione affettiva potenzialmente realizzabile, pur rimanendo sempre alienata. Il suo disgusto si trasforma prima in tristezza, poi in orrore, poi in rabbia e poi in rassegnazione. Mizoguchi traccia una linea in cui segna dei punti. sono gli stati d'animo di Oharu, in una amplificazione sempre più forte ed esasperante di ciò che sente e sopratutto di ciò che vive in una realtà che riesce solo ad accusarla e insultarla ma mai a comprenderla; una realtà che si fa sempre più sporca sempre meno capace di perdonare e di dare un senso alle sue azioni, esattamente come O-Haru che alla fine si ritroverà per sempre sola con il bagaglio pesantissimo e opprimente della sua sofferenza.
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Ottimo, di Mizoguchi purtroppo ho recuperato sinora ben poco, se non l'hai già fatto mi sento di consigliarti un assoluto capolavoro: "Gli amanti crocifissi", ho scritto due cosine sul mio blog a proposito, assolutamente fantastico. L'immagine finale dei due amanti abbracciati è di una forza poderosa incredibile. E poi continuando sempre il discorso sulle donne, ma penso che comunque il suo cinema sia sempre ispirato a loro, nonchè ad una mordace critica alla decadenza di quella società, c'è un trittico mandato in onda da Ghezzi qualche mesetto fa, che per fortuna registrai : Donne della notte; Cinque donne intorno a Utamaro e La signora di Musashino, tutti indiscutibilmente da recuperare:)
RispondiEliminaPer l'affiliazione ti dico che non può farmi che piacere, a questo servono i blog, e poi il mio è talmente segregato che a volte mi vien voglia di piangere ahahah. Quindi sei la benvenuta, e visti i gusti affini, non ci si può che arricchire a vicenda. A prestitissimo.