
Nell'avanzatissimo Belgio di metà anni 70 la donna-oggetto è quanto mai presente, alla stessa guisa di altre realtà, e allora forse l'universalismo dell'opera di Chantal Akerman (che avrà grande influenza nei cinneasti come Gus Van Sant e Todd Haynes) è proprio questo: l'omologazione della figura femminile, nel suo essere per l'uomo prima oggetto e poi persona, persona che spesso non viene neanche scoperta. L'universalismo nella figura di Jeanne Dielman è proprio questo: la donna vive in una costante oppressione che si alterna alla noia che sfoga un po' nell'appropriazione di questa figura-oggetto e nel suo successivo liberarsi, spesso con violenza e spesso con dolore.
Inutile dire che sia un film femminista, lo si capisce anche dal titolo, ma la cosa interessante è che il femminismo si slega da tutti quei luoghi comuni tipici del movimento e non ha paura di mostrare una donna veramente donna con tutti i suoi annessi (compreso l'orgasmo che arriva al terzo giorno, uno dei punti massimi del climax). Delphin Seyrig tanto brava quanto rarefatta, ambigua, inafferrabile.
Interessante, lo cercherò :)
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