Due amici sono amati dalla stessa ragazza, donna di mondo, ma trovano un accordo e mettono su casa insieme, dove, però, la convivenza è soltanto platonica
“Ernest Lubitsch credeva che fosse meglio ridere in un palazzo che piangere in un retrobottega”.
Si sa che c'è sempre qualcuno che dice le cose molto meglio di quanto non faremmo noi e così non ci si può che affidare alle parole di un certo Francois Truffaut che con massima capacità riassuntiva esprime un po' tutto il concetto del cinema di Lubitsch.
Padre dello screw ball assieme a Cukor e Stevens, Lubitsch è il perfetto esempio di quel Cinema europeo emigrato in America che mantiene intatte le caratteristiche basilari pur adattandosi alle esigenze di un pubblico forse più frivolo ma che non si lascia sfuggire qualche messaggio interessante lanciato da questo Cinema sofisticato e giocoso.
Sotto il coperchio di commedia leggera, Lubitsch sa elaborare schemi narrativi molto complessi e sa usare la trama (magari per qualcuno banale) per raccontare qualcosa di molto diverso. Ebbene, “Partita A Tre”, diretto nel 1933 è assieme a Vogliamo Vivere il suo capolavoro di sintesi, riassunto, elaborazione di quel concetto di eleganza, raffinatezza ma anche e sopratutto di profondità di idee.
“Partita A Quattro” è uno di quei film dove si fa fatica a trovare difetti e se esistessero sarebbero irrilevanti perchè quello che sta in alto, quello che coordina il tutto riesce a coprire le imperfezioni irradiando di luce l'intero film: è il brio, l'allegria il vero motore della storia molto inopportuna per i tempi, scomoda, quasi scandalosa (il film è stato girato prima del Codice Hayes), ma come viene raccontata è talmente convincente e talmente sincera che alla fine tutti diventano supporters di un modello di vita abbastanza distante per i canoni dell'epoca e anche dei nostri.
Ma la spensieratezza non si deve confondere con superficialità, al contrario, le relazioni che si creano e si instaurano tra i quattro protagonisti sono molto complesse e mettono in campo una serie di clichè e taboo che via via si disintegrano, si ricostruiscono, si rafforzano e poi si disintegrano di nuovo. E' una specie di cerchio che simboleggia quanto l'uomo pur tentato dal cambiamento è in egual misura a ritornare sui suoi passi. Ma quanto costa questo ripensamento? La risposta di Lubitsch è abbastanza chiara: ci si gioca la felicità. Si appunto è una partita, un gioco ma la posta in palio sembra piuttosto alta e allora si torna alla condizione forse meno comoda ma certamente più consona a quello che si vuole essere.
Che dire poi sul personaggio di Gilda? Definitivamente si concretizza il modello Dietrich-Garbo, ma c'è un tocco in più: la donna non è solo femme fatale silenziosa e ammaliante ma è dotata di un cervello attivissimo, lingua tagliente e un forte spirito di intraprendenza. Gilda è il motore della partita, è giocatrice ed arbitro
Un film liberatorio, libero, divertente ma che lancia una freccia nelle coscienze degli spettatori e dei censori di allora. Per fortuna il Codice Hayes non fece in tempo a fermarlo e oggi “Partita A Quattro” è un esempio di come temi quali la libertà, anche al Cinema, non hanno bisogno di grandi elaborazioni pur che siano trattati con attenzione senza banalizzare. Si può, anzi si deve ridere. Meglio se in un bel palazzo piuttosto che in un retrobottega.