mercoledì 30 giugno 2010

La Nota Blu (1991)

Un film di Andrzej Zulawski, Fr. 1991. Con Sophie Mercau, Janusz Olejniczak

Zulawski, nel bene e nel male, è stato ed è tutt'ora uno degli autori europei più importanti degli ultimi 50 anni. Stessa scuola di Polanski, diverse forme di cinema. Zulawski col tempo, ha affinato i suoi tratti distintivi di una regia incentrata sulle forme esteriori, sui colori, sulle luci, sulla forza delle sue storie spesso scioccanti. Ma quello che alcune volte manca un po' a Zulawski, e qui si vede, è la capacità di unire ad una messa in scena perfetta, una storia forte che non faccia da cornice al quadro ma che sia al contrario il quadro stesso.La Note Bleue respira sulle note di un Chopin troppo macchiettistico, e il film decolla veramente nei rari, preziosi momenti di intimità con Madame Sand. Questo sta a significare che con meno volontà di stupire, com una realizzazione forse meno urlata e meno chiassosa si sarebbe potuto raccontare una delicata storia d'amore. Ma in effetti, spesso le esigenze e i desideri di chi assiste ad un'opera sono deluse, perchè c'è la tentazione di proiettare ciò che si immagina o ciò che si vorrebbe immaginare nel film (nella storia) che si sta guardando. E allora La Note Bleue, preso per quello che è in realtà, è un nobile tentativo di unire storia e arte, è un'abile rappresentazione della società francese di metà '800, un po' antenata della Belle Epoque, a cavallo di due ere (quella moderna e contemporanea), un po' colorita e un po' movimentata, un po' gaia ma anche malinconica. Sophie Merceau brilla, maestosa, sensuale e bellissima. Janusz Olejniczak fa del suo meglio ad interpretare il sofferto e malato Chopin, ma la sua recitazione è troppo caricaturale, troppo eccitata e teatrale. In sostanza, un film dall'impressionante impatto visivo che si dilunga un po' troppo quasi dovesse rimande all'infinito il momento clou della storia, quado è l'elemento che meno viene sviluppato, l'amore tra Chopin e Madame Sand ad essere il vero pilastro e la vera rivelazione del film.

sabato 12 giugno 2010

Bright Star (2009)

Un film di Jane Campion. Con Abbie Cornish, Ben Whishaw, Paul Schneider, Kerry Fox, Edie Martin, durata 120 min. - Gran Bretagna, Australia, Francia 2009
1818. Il ventitreenne John Keats e la sua vicina di casa Fanny Brawne si conoscono, grazie all'interesse della ragazza per le sue poesie, si frequentano, si scrivono, si fidanzano, nonostante le condizioni economiche disperate del poeta. Minato dalla tubercolosi, Keats si vede costretto a partire per l'Italia, dove il clima è migliore e dove troverà la morte, nel febbraio del 1821.
John Keats è uno di quei rari esempi nella nostra storia che dimostra come la bellezza di una vita non si giudica dagli anni che ha vissuto ma dall'intensità con la quale è stata vissuta.John Keats è morto giovanissimo, ma nella sua pur breve vita è riuscito a percorrere un viaggio intenso scandagliato da momenti di forte passione e di grande dolore. L'amore che Keats provava per la vita e per l'amore stesso è descritto nelle sue poesie, impregnate di quella romantica arrendevolezza ai sentimenti e del rifiuto di pensare al mondo e alla vita solo in termini razionali. Un romanticismo fortemente ancorato a figure magiche, poetiche, edoniste lontane dal furore della ragione frutto degli strascichi dell'Illuminismo ancora presente, ma creatore di una vita ideale formata da passioni fortissime che quasi consumano l'animo umano. Passioni che, anche se negative, meritano sempre di essere vissute.Forse Keats, ancor prima di morire di tubercolosi, il male che l'accompagnò per tutta la vita, morì per un altro male: l'amore per Fanny Brawne, donna in qualche modo moderna, volitiva ma anche molto fragile, irraggiungibile che non ha niente da invidiare alla Beatrice di Dante o alla Laura di Petrarca: come loro, anche lei è stata resa immortale dai versi di un poeta.Ma se per Dante e Petrarca le loro amate rappresentavano la salvezza, per Keats la sua amata è una condanna. E proprio nel film di Jane Campion ci si sofferma su questo tragico, inevitabile, indistruttibile legame tra il poeta e Fanny, quasi a voler dimostrare che quando di una cosa si ha bisogno, anche se fa male, non ci si può mai rinunciare.Quella di Fanny è una figura femminile diversa, lontana da Beatrice o da Laura o dalla "dark lady" di Shakespeare: lei è sfuggevole non perché eterea nella sua natura, ma perché è tanto forte quanto lo sono le parole che la descrivono, è anche lei autrice e artefice di quei versi nella stessa misura del poeta e Keats si rende conto che pur sentendola sua, pur avendola fatta sua nelle proprie poesie non riuscirà mai a possederla veramente. Jane Campion non è nuova a questo genere di racconti di donne e di femminilità e anche questa volta non dimentica il lato forte della personalità della sua protagonista, come non dimentica la sua sensibilità e il suo sconforto nel dover vivere in un'epoca che non rispecchia e non rispetta la propria personalità. Ma come Ada, Isabel, Ruth, anche la sua Fanny rinnega l'unica persona in grado di capirla per paura di rimanere intrappolata non solo in un amore drammatico ma in una comprensione che molto probabilmente la priverebbe della sua libertà e in un certo senso anche del suo disagio che per lei è quasi essenziale. La regista neozelandese ci sa fare con le sue protagoniste e dirige una splendida Abbie Cornish: la sua Fanny diventa il centro assoluto della vicenda, il punto cardine attorno al quale gira l'intero film, e i suoi vestiti, la sua voce, la natura, le immense distese di fiori nei quali cerca conforto, sono tutte parti di essa e sono un eccellente contorno ad una storia d'amore irrealizzabile. Se per Keats Fanny è necessaria, per lei è necessario vivere nella sua natura di creatura inquieta e libera. Entrambi schiacciati da due mali che impediscono loro di esprimersi completamente e di vivere realmente l'amore. Due opposti che si attraggono per la forza di gravità delle loro solitudini ma pur desiderandosi, quasi inconsciamente, sanno di non poter rimanere insieme: Fanny a causa della sua natura, Keats a causa della sua malattia e della sua condizione economica. E la consapevolezza di un amore destinato a finire ci ha regalato molti dei versi più belli della letteratura inglese e mondiale. Tante sono le poesie che Keats, direttamente o indirettamente, ha dedicate a Fanny, ma quasi certamente tutto il suo lavoro è stato dedicato alla vita e al dolore che essa spesso provoca quando la si vive troppo intensamente: "Spesso il piacere è un ospite passeggero, ma il dolore ci avvinghia crudelmente" .


PUBBLICATO SU LOUDVISION.IT (11/06/2010)